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Parità di genere nella scienza

24 Giu News . Scienze

She Figures 2018, l’ultimo rapporto triennale della Commissione Europea, Direttorato Generale Ricerca e Innovazione, documenta i progressi della parità di genere nella Scienza. All’epoca del primo rapporto (She Figures 2003) le donne erano significativamente sottorappresentate a tutti i livelli della carriera, nelle posizioni accademiche apicali e nei comitati scientifici.

Oggi in Europa le donne sono una maggioranza tra i PhD ed è cresciuto anche il loro numero nei ranghi accademici più elevati. Tuttavia non è stata ancora raggiunta la parità di genere, le condizioni di lavoro non sono uguali a quelle degli uomini e nemmeno le possibilità di accedere alle posizioni apicali e di ottenere fondi per la ricerca.

La discriminazione di genere è tuttora presente nel mondo della scienza che per sua stessa natura dovrebbe costituire un’area culturalmente più aperta rispetto ad altri settori della società. Soltanto il 30% dei ricercatori nel mondo sono donne. La disparità di genere è molto forte nell’ambito delle così dette scienze dure (Matematica, Fisica, Chimica, Biologia) a causa di vecchi pregiudizi e stereotipi di genere.

In generale le donne sono dissuase dal seguire una carriera scientifica fino ai livelli più alti. Questo comporta uno spreco di talento umano perché “La differenza tra uomo e donna è epigenetica, ambientale. Il capitale cerebrale è lo stesso: in un caso è stato storicamente represso, nell’altro incoraggiato” (Rita Levi Montalcini).

Francesca Dominici, professoressa di Biostatistica e co-direttrice della Data Science Initiative della Università di Harvard (dove le donne full Professor sono il 15% contro il 50% ai livelli iniziali della carriera) intervistata da Lucia Capuzzi (Avvenire, 10/06/2020) sostiene che le ricercatrici e le scienziate devono affrontare ostacoli aggiuntivi per tenere il passo rispetto ai colleghi maschi.

Un esempio attuale: l’impatto del Covid sulla produttività femminile è stato maggiore di parecchi punti percentuali rispetto a quella maschile perché sulle donne è gravato il peso maggiore dell’emergenza sanitaria e delle misure per contenerla, quali la chiusura delle scuole e dei centri per l’infanzia. Francesca Dominici ha fatto una brillante carriera accademica ed è stata inserita da Thomson Reuters tra l’1% dei ricercatori più citati nella sua disciplina in tutto il mondo.

Oltre che alla ricerca ha dedicato ampio spazio alla politica per la parità di genere nell’accademia perché le donne possano avere l’opportunità di fare qualsiasi cosa vogliano e il talento femminile non sia sprecato. A Elena Tebano in una intervista per il Corriere della Sera (27/11/2016) elenca una serie di discriminazioni invisibili: Minori opportunità di leadership, la fatica dei sottili pregiudizi di genere, (come l’accusa di non avere esperienza, che per un uomo a parità di condizioni non ci sarebbe), l’idea che per avere successo devi lavorare 24 ore al giorno sette giorni su sette, …… ……. ogni volta devo provare di essere molto più qualificata dei maschi e devo fare i conti col fatto che se sono troppo “carina” perdo autorità, ma se sono ferma divento “difficile”.

La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) ha adottato il Bilancio di Genere come strumento per valutare il contesto specifico di ogni realtà al fine di incidere efficacemente sulle politiche di parità di genere nella strategia di sviluppo degli Atenei. Dall’ultimo Bilancio di Genere sono tratti il grafico della composizione del personale docente per genere e ruolo, e la tabella della percentuale per genere dei progetti di ricerca PRIN finanziati nel 2017. Questi dati fanno parte di un insieme di indicatori, molti dei quali confrontabili con quelli di She Figures, utilizzati per valutare la segregazione verticale e orizzontale che penalizza il genere femminile.

Composizione del personale docente per genere e ruolo (tutte le aree disciplinari)

Fonte: http://dati.ustat.miur.it/dataset

Progetti finanziati con bandi PRIN 2017

Nei ruoli di Governance degli Atenei le differenze di genere sono ancora più marcate che al livello di professore ordinario. Nelle liste dei Professori emeriti e in quelle delle Accademie il numero esiguo di donne denota l’esistenza di un processo di invisibilizzazione delle donne che hanno raggiunto il livello più alto della carriera universitaria.

La mia storia accademica rispecchia il cammino di una donna nel mondo della Scienza dominato, (qualche decennio fa ancora più di oggi) dai maschi, che ha affrontato la fatica dei pregiudizi di genere e le discriminazioni invisibili senza fermarsi mai. Dopo la laurea in Scienze Naturali nel 1961 ho intrapreso la carriera universitaria e mi sono dedicata alla didattica e alla ricerca in Ecologia. Il settore scientifico-disciplinare specifico nasce e si consolida negli anni 80 e deve

competere con le discipline biologiche tradizionali forti e affermate. La cattedra che ho avuto l’onore di ricoprire è la prima istituita nell’Università di Napoli. Ho lavorato con entusiasmo e determinazione. Ho fondato una scuola, ho avuto incarichi importanti tra i quali quello di Presidente della Società Italiana di Ecologia dal 1999 al 2003 (incarico per la prima volta assegnato a una donna; dopo, sono passati 13 anni prima che un’altra donna venisse eletta Presidente). Quasi sempre nelle numerose commissioni, ministeriali, di ateneo, di enti pubblici, delle quali ho fatto parte nella mia lunga carriera, mi sono trovata come unica rappresentante femminile. Ho svolto il mio ruolo senza farmi intimidire dal contesto maschile dominante. Una larga maggioranza femminile ha caratterizzato il mio gruppo di ricerca, ma non per effetto della segregazione dei maschi. Forse la maggioranza femminile rispecchia il maggior numero di donne tra gli studenti e poi tra i laureati in Biologia. O forse rispecchia il pregiudizio dei maschi nei confronti di un capo donna. In molte Università del Nord Italia molte scuole di Ecologia, dirette da maschi, erano in passato, e sono ancora oggi caratterizzate da una netta prevalenza maschile, nonostante un rapporto maschi/femmine per gli studenti e i laureati in Biologia del tutto simile a quello di Napoli. Oggi le donne costituiscono il 75% dell’organico di Ecologia all’Università Federico II e il 100% all’Università della Campania Vanvitelli; a Siena sono l’88% e a Ferrara il 71%; in tutti gli altri atenei le ecologhe sono in minoranza. Su scala nazionale, oggi, nel settore Ecologia, il rapporto maschi/femmine varia dalla base all’apice della carriera con 1/1 nella fascia ricercatori, 1.4/1 nella fascia di professore associato e 2,7/1 nella fascia degli ordinari. Venti anni fa i rapporti maschi/femmine erano gli stessi di oggi per i ricercatori ma più alti di oggi per la fascia di professore associato (3,2/1) e per quella di professore ordinario (5,8/1). Il divario si è ridotto ma rimane e conferma che ancora oggi le ricercatrici e le professoresse associate non hanno le stesse chance negli avanzamenti di carriera rispetto ai colleghi maschi e che esiste un “soffitto di cristallo” (barriera invisibile) che limita l’accesso delle donne ai ruoli apicali. E questo accade in quasi tutti i settori disciplinari.

Un Editoriale di Nature 495 (5) del 6 marzo 2013 (Many women are deterred from pursuing a career in science at the highest levels. Much more must be done to address the reasons behind this potential waste of human talent) mette in evidenza il sessismo esistente nella Scienza: i maschi sono dominanti a tutti i livelli decisionali che possono influenzare una carriera accademica, dai comitati editoriali, ai comitati di selezione per il finanziamento della ricerca. Il fatto poi che le donne siano sotto-rappresentate a questi livelli reitera il pregiudizio che la Scienza appartiene ai maschi.

Per promuovere la parità di genere è necessario combattere il sessismo nella scienza e scardinare il processo di invisibilizzazione delle donne che hanno dato contributi importanti alla scienza ma sono trascurate nelle narrative ufficiali (Valentina Greco in R. Cervellati, Chimica al femminile. Aracne Editrice 2019).

Le Università e gli istituti di ricerca, in Italia e negli altri paesi, l’11 febbraio celebrano la “Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza”. Istituito nel 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’evento ha l’obiettivo di «promuovere la piena ed equa partecipazione di donne e ragazze nelle scienze, in materia di istruzione, formazione, occupazione e processi decisionali». Una delle manifestazioni più importanti è quella del programma “L’Oréal- Unesco” che si celebra a Parigi. L’Oréal Italia, con la collaborazione della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, ha istituito il premio “L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza” che dal 2002 ad oggi ha assegnato 88 borse di studio ad altrettante scienziate con l’intento di favorire il perfezionamento della formazione di giovani ricercatrici.

L’affermazione della parità di genere richiede ancora tempo. La sensibilità verso questo problema è certamente cresciuta e le iniziative e le politiche per la parità di genere hanno sempre più successo e stanno promuovendo il necessario cambiamento culturale. Anche grazie ad eventi quali La giornata delle donne nella Scienza e a strumenti di analisi del contesto, quali She Figures e Bilancio di Genere, che permettono di valutare l’adeguatezza dell’impegno del mondo della Scienza nella valorizzazione della parità di genere. Solo con la piena utilizzazione di tutto il talento umano, quello degli uomini e quello delle donne, la nostra società avrà maggiori possibilità di affrontare con successo le grandi sfide del nostro tempo.

Amalia Virzo De Santo già Professore di Ecologia nell’Università degli studi di Napoli Federico II

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